Non è mia abitudine accorarmi ad argomenti inflazionati. Ritengo che temi molto importanti e popolari siano già sufficientemente trattati, spesso da persone più preparate in materia, e che quindi il contributo migliore da dare è un rispettoso ascolto anziché l’ennesima opinione non richiesta.
Ad un anno dall’inizio della pandemia, argomento trito e ritrito, ho deciso di fare un’eccezione a questa mia abitudine. Come spesso accade il tutto nasce da una domanda.
Mi è stato chiesto, da un punto di vista professionale, cosa avrei fatto in una determinata situazione. La domanda era posta all’interno di un colloquio per un incarico importante, una commissione qualificata era lì per valutarmi in quanto professionista, presenti anche gli altri candidati super professionali e super qualificati. Il tema decisamente ostico, un pugno nello stomaco anche per gli addetti ai lavori: la morte. Cosa avrei fatto in quanto psicologo per aiutare i familiari di una persona che sta morendo?
Di fronte ad una domanda simile, ho avuto di fronte a me un bivio apparentemente insignificante, ma per me pesantissimo: fare il professionista o essere NELLA situazione, per quanto simulata?
A costo di mandare tutto a monte ho fatto ciò che faccio ogni giorno come psicoterapeuta e cioè promuovere la spontaneità e dare spazio al mio saper essere anziché il saper fare. Avrei forse dovuto sciorinare tutta una serie di concetti teorici o ipotetiche strategie, sigle e inglesismi che fanno molto “so il libro a memoria”? Non me la sono sentita e la risposta è stata molto più umana e banale: esserci. Al netto di tutte le costruzioni tecniche che ho assimilato e praticato negli anni, al punto da diventare parte di me, l’unica risposta sensata che ho sentito di dare è stata quella di esserci, rispettando tempi e spazi, una disponibilità, una presenza non invasiva.
Questo mi ha fatto riflettere molto, anche perché probabilmente il contesto richiedeva una prestazione più “ingessata”, perché riflette il professionista che sono e che voglio continuare ad essere. Mi ha fatto riflettere sull’insostituibilità di una vicinanza ed un calore umano, in un anno dove la videochiamata è diventata l’unica speranza per mantenere delle relazioni ed è diventata anche uno strumento che io stesso uso se necessario.
Semmai ce ne fosse stato bisogno, ho avuto l’ennesima riprova del fatto che per fare bene un mestiere, soprattutto il mio, bisogna prima di tutto saper essere spontanei ed utilizzare tale spontaneità come risorsa nel proprio ambito.
Il fare che non passa dall’essere è un puro esercizio di forma, che risulta freddo e inutile, se non dannoso. Anni fa una mia tutor mi ha detto “primum non nocere ” (per prima cosa, non nuocere) ed ancora oggi questo consiglio mi guida nelle scelte professionali che faccio.